Canzone per il rivoltoso sconosciuto di piazza Tien’anmen (la fotografia più famosa del mondo)

riv

Libertà, vita, rivoluzione,

una zappa contro una lancia.

Risveglio d’una popolazione

nelle piazze fervide di Francia.

Milleottocentoquarantotto,

s’infiamma e si scuote l’Europa,

ogni equilibrio rotto,

donne a combattere col bastone di scopa.

In Cina il popolo implora

una barlume di dignità,

sta ormai scattando l’ora

della rivolta per la libertà.

Il pugno di ferro della presidenza

vuole schiacciare il capo non più chino

di chi le oppone resistenza,

i rivoltosi di Pechino.

Raccolti  in una folla folta,

ignari dell’ordine che si serba:

annegare nel sangue la rivolta,

falciare uomini come erba.

Si diparte con forza d’impatto

il carro armato, punta il cannone.

Contro il canto di riscatto,

vento acre di repressione.

Carro armato, andatura lenta

pronta a stroncare i dissidenti.

La terra si scuote sgomenta,

trasmette il tremore ai denti.

Roteano cingoli rigidi,

implacabili, sbriciolano asfalto.

Gli animi sempre più frigidi

ormai rinunciano all’assalto.

Il popolo arreso e restio

alla lotta contro la dittatura,

il potere balla e il calpestio

spegne la libertà nella paura.

Chi ancora può scappa via,

la piazza presto si svuota,

si dissolve l’utopia,

la speranza sempre più remota.

L’entusiasmo si smorza

va placandosi la dissidenza,

nessuno trova più forza

raschiando il fondo della coscienza.

Il presidente festeggia

il riso taglia il suo brutto grugno,

ma va impazzendo una scheggia,

si alza l’alba del 5 giugno.

La rivolta è un vento che tira

che investe un pugno, un quando e un dove,

uno studente lo respira,

piazza Tien’anmen, 5 giugno 89.

Lui, da solo, tiene duro

risoluto, non si smuove,

sbarra il passo come un muro

ai carri tipo 59.

Pochi chili di carne e ossa

ma sterminato amore da sfogare,

agita la giacca, bandiera di riscossa

ancorato al suolo, albero secolare.

Un esile corpo diventa macigno

nell’attitudine del pellicano,

leggiadria, solitudine del cigno

ma il peso d’un popolo in una mano.

Tiene il capo eretto,

il mostro d’acciaio non lo spaventa,

il cuore gli esplode nel petto,

il coraggio lo arroventa.

Il nome non passa alla storia,

non esiste alcuna biografia,

riecheggia, sola, nella mia memoria

l’irruenza d’una fotografia.

S’arrampicò  su un carro armato

per parlare con un tenente,

disarmante e disarmato

chiese ‘perché fai male alla mia gente?’.

Carcere o flagello,

nessuno corse in suo aiuto.

Riposa, ragazzo, addio, fratello,

grazie, padre, rivoltoso sconosciuto.

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